| Riporto qui una critica alla strumentalizzazione del pensiero Kantiano da parte del Papa nella sua ultima enciclica. Condivido tutto.
Vorrei segnalare e denunciare con la massima fermezza l’infame falsificazione del pensiero di Kant operata da Ratzinger nell’enciclica “Spe Salvi” e ripresa in questi giorni da Giuliano Ferrara nell’ambito del suo petulante Kulturkampf dalle pagine del Foglio contro l’idea stessa dell’aborto. Il clericalismo come concezione politico-religioso-filosofica ha tutto il diritto di esistere e di manifestarsi nella sua intrinseca miseria intellettuale, ma non ha il diritto di arruolare chi gli pare, soprattutto se si tratta di uno come Kant, cui si può rimproverare qualsiasi cosa, tranne di essere assimilabile alle concezioni reazionarie della Chiesa cattolica di oggi e degli atei devoti alla Ferrara. Dunque, veniamo ai fatti. In un articolo di ieri su Chiara Lubich, Ferrara scrive a un certo punto: “Se il primate di Spagna o il Papa di Roma dicono che è in corso una rivoluzione culturale di sconsacrazione e disumanizzazione della vita, che la profezia di Kant sulla “fine perversa di tutte le cose” si sta rivelando attendibile in un progresso che sta in mani sbagliate (“Spe salvi”), allora qualcosa bisogna pur fare”. Questo passaggio mi ha inizialmente fatto sorridere, perché mostra subito a che punto è arrivato il cervello di Ferrara: per citare Kant ha bisogno non di andarselo a leggere coi propri occhi (e dire che “La fine di tutte le cose” è un testo abbastanza breve pure per uno superimpegnato come lui), ma di basarsi su una citazione fatta da Ratzinger nella sua ultima enciclica, che è diventata la sua Bibbia politica. Un lettore sprovveduto, a questo punto, può pensare che Kant abbia qualcosa a che vedere con la posizione di Ratzinger e Ferrara. Se poi questo stesso lettore va a controllare la citazione di Ratzinger, scopre che in effetti Kant sembra dire esattamente quello che vogliono dire Ratzinger e Ferrara. Alla fine del § 19 di “Spe salvi”, infatti, si legge: «Nel 1794, nello scritto “Das Ende aller Dinge” (”La fine di tutte le cose”) (…) Kant prende in considerazione la possibilità che, accanto alla fine naturale di tutte le cose, se ne verifichi anche una contro natura, perversa. Scrive al riguardo: “Se il cristianesimo un giorno dovesse arrivare a non essere più degno di amore […] allora il pensiero dominante degli uomini dovrebbe diventare quello di un rifiuto e di un’opposizione contro di esso; e l’anticristo […] inaugurerebbe il suo, pur breve, regime (fondato presumibilmente sulla paura e sull’egoismo). In seguito, però, poiché il cristianesimo, pur essendo stato destinato ad essere la religione universale, di fatto non sarebbe stato aiutato dal destino a diventarlo, potrebbe verificarsi, sotto l’aspetto morale, la fine (perversa) di tutte le cose”». Il nostro lettore sprovveduto, o quello interessato all’impostura come Ferrara, non avrà dubbi che qui Kant esprima una posizione quasi perfettamente in linea con la posizione di Ratzinger: 1) il cristianesimo (cioè il cattolicesimo romano, come Ratzinger si augura che si intenda) è degno d’amore, e se un giorno si smetterà di amarlo, l’Anticristo avrà avuto la sua breve vittoria instaurando il regno della paura e dell’egoismo; 2) il cristianesimo è destinato ad essere la religione universale e se per qualche ragione le cose non dovessero andare come dovrebbero, allora andrà tutto a puttane e saranno cazzi amari per tutti. Ma è questa concezione tipicamente ratzingheriana ante litteram che Kant esprimeva nel suo breve scritto del 1794? Assolutamente no! Il cristianesimo cui pensava Kant non aveva nulla a che vedere con la Chiesa cattolica, anzi, per Kant era essenziale il superamento della religione intesa come insieme di dogmi gestiti e inculcati da un’istituzione dispotica come la Chiesa cattolica (e qualsiasi altra chiesa). Il cristianesimo cui pensava Kant, agganciato al protestantesimo, era un messaggio esclusivamente morale e fondamentalmente ragionevole perché in larga misura coerente con quanto la ragion pratica può liberamente scegliere per sé in via del tutto autonoma, cioè al di fuori da ogni rivelazione, da ogni imposizione dogmatica e da ogni Chiesa. Che Ratzinger citi in perfetta malafede (non è uno stupido e conosce bene il testo che sta manipolando, tant’è vero che poco prima, attraverso la citazione di un altro testo kantiano, ha fatto un rapido riferimento al vero pensiero di Kant sulla religiosità clericale) è d’altronde dimostrato dal suo primo “[…]”. Cosa si dice nel passo omesso nella citazione? Si dice (tra parentesi) per quale motivo il cristianesimo potrebbe smettere di essere amabile ed eticamente plausibile: “cosa che potrebbe ben verificarsi, se si rivestisse di autorità dispotica abbandonando il suo spirito mite” (in I. Kant, “Scritti di filosofia della religione”, a cura di Giuseppe Riconda, Mursia 1994, p. 228). Infatti, poco prima (il passo citato da Ratzinger è l’ultimo capoverso del saggio) Kant aveva precisato che il cristianesimo perde la sua amabilità quando lo si associa a “una qualsivoglia autorità esterna (fosse anche quella divina)” (p. 227), e questo è esattamente quello che fa ed ha sempre fatto la Chiesa cattolica per sua natura. Del resto, quello che Kant pensava del clericalismo è espresso con mirabile chiarezza nel § 3 della seconda sezione della quarta parte de “La religione nei limiti della semplice ragione”, uno scritto coevo molto più ampio de “La fine di tutte le cose” (1793, 2a ed. 1794). Tale § ha un titolo quanto mai eloquente, che dovrebbe far vergognare Ratzinger e il suo scagnozzo Ferrara: “Del clericalismo in quanto potere dedicato al falso culto del buon principio”. (Marco Trainito, docente di Filosofia)
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