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In che misura le scoperte scientifiche influiscono sulla filosofia?

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Maritain90
view post Posted on 17/4/2008, 21:06




Che rapporto c'è fra scoperte filosofiche e sistemi filosofici?
Le scoperte determinano i sistemi o viceversa?
 
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EgoTrascendentale
view post Posted on 18/4/2008, 06:20




CITAZIONE (Maritain90 @ 17/4/2008, 22:06)
Che rapporto c'è fra scoperte filosofiche e sistemi filosofici?
Le scoperte determinano i sistemi o viceversa?

questa è una bella domanda.
gli scienziati - e i filosofi "scientisti" - non ascoltano i filosofi.
i filosofi, o se ne fregano completamente, o sono scientifisti e fanno filosofia esaltando la scienza. ma non fanno scienza. questa è davvero una cosa burbera.
questa cosa la immagino così: io indico col dito allo scientista la luna laggiù, e si accontenta di guardarmi il dito con cui indico dicendo: no, io faccio filosofia, non faccio scienza.
ad altri filosofi, e se fossi filosofo interesserebbe anche me, potrebbe intrigare il rapporto tra il dito in quanto "segno" della luna e tutti i rapporti tra un dito e la luna che si vengono a creare in quel momento
 
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DiodeiFilosofi
view post Posted on 23/4/2008, 19:17




Le scoperte scientifiche influiscono sulla visione del Mondo e sulle teorie filosofiche nella misura in cui descrivono un nuovo "stato di cose" con cui la filosofia non può e non deve fare a meno di confrontarsi. L'interpretazione spetterà alla filosofia,ma l'assunzione della scoperta come dato acquisito che può/potrebbe/deve falsificare o eliminare o modificare le teorie filosofiche DEVE avvenire. Sottolineo DEVE perchè troppe volte i filosofi si son chiusi nel loro mondo e non soltanto non hanno voluto dialogare con la scienza,ma addirittura hanno voluto ignorare i risultati scientifici. Questo non soltanto è sbagliato perchè snobismo intellettuale deplorevole (vale anche per gli scienziati verso la filosofia,ndr) ma anche perchè il reciproco influsso e il reciproco dialogo ha come conseguenza un incremento di conoscenza,di chiarificazione del pensiero e di nuovi conenuti cognitivi decisivi.
 
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kattoliko
view post Posted on 29/4/2008, 19:32




Sbaglio, o molti filosofi del passato erano anche scienziati?
Leibnitz, ad esempio... se ricordo bene era sia filosofo che matematico.
Oggi c'è questa netta differenza, nel senso che non esistono più figure come quelle del passato?
Lo dico da perfetto ignorante in materia.
Se si, perchè secondo voi? E se no potreste farmi un esempio di un filosofo attualmente esistente con queste caratteristiche?
Poi, non ho capito bene cosa si intende tra "sistema filosofico" e "scoperta scientifica" e soprattutto come interagiscono tra loro.
 
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DiodeiFilosofi
view post Posted on 5/5/2008, 18:55




Si tratta di una questione sociologica,kattoliko: almeno fino alla fine del 1700 non esistevano le "specializzazioni" attuali, che oggi invece la fanno da padrone e fanno sì che ognuno sia specialistica "di qualcosa" (e spesso solo di quel qualcosa). Naturalmente gli spiriti "eletti" come Leibniz sono perle rare,ma il fatto che i primi filosofi siano stati anche naturalisti la dice lunga su come in realtà la Scienza sia UNA sola, e la varie settorializzazioni in filosofia naturale,filosofia pratica,scienze sociali etc siano solo determinazioni euristiche,metodologiche che solo ad un certo punto si sono imposte perchè 1) la società è cambiata e "servono" oggi figure iper-specializzate,perchè gli intellettuali "completi" oggi non avrebbero un ruolo definito, a differenza di un tempo. 2) il progresso della conoscenza ha limitato notevolmente la possiblità di essere "intellettuali a 360°". Alcune scienze sono "sature: questo però non vuol dire che non ci sia rimasto più niente da dire,come dice un vecchio adagio. 3) La filosofia è un grande albero da cui si dipartono i rami che sono le diverse scienze:queste ultime in un certo momento storico (nel XIX secolo) hanno voluto "emanciparsi" dalla Filosofia,che fino ad allora era il solo "sistema dei saperi".
4) l'alfabetizzazione di massa ha prodotto a mio avviso anche una cultura "spalmata", che non dipende più solo dalla Genialità (perchè di Leibniz o di Aristotele ne nasce uno ogni 1000 anni) di alcuni singoli,ma delle specifiche conoscenze di "tutti".
Attualmente i filosofi-scienziati sono pochi,ma possono essere rintracciati principalmente negli USA: lì la filosofia è strettamente legata alla Scienza con cui quotdianamente "collabora". In Italia siamo più "tradizionalisti" da questo punto di vista.
Per sistema filosofico si intende una filosofia coerente,organica e connessa armonicamente divenendo appunto un "sistema" e non una "collezione di aforismi". La sistematicità è un esigenza del pensiero,ma anche un limite:
La Ragione pretende Unità e "completezza" da un lato,ma dall'altro lato un'eccessiva sistematicità rischia di condurre ad una filosofia "chiusa" nel proprio sistema che non riesce ad oltrepassare mai il proprio naso.
La scoperta scientifica è la scoperta di una Legge naturale o di un nuovo ente reale, e interagisce SULLA filosofia nella misura in cui apre un nuovo spazio logico nella quale la filosofia deve "dire la sua".
Spero di averti chiarito le idee :)
 
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kattoliko
view post Posted on 6/5/2008, 22:40




Sai, proprio in questi giorni pensavo e ripensavo alla domanda che vi ho posto e riflettevo proprio sul fatto che più passa il tempo e più questa "settorializzazione" si fa marcata.
In buona sostanza arrivavo alle cose che mi hai detto ma tu sei stato davvero molto chiaro nell'esporre la questione e sinceramente non potevo ricevere risposta migliore.
Non credi che questo specializzarsi "di qualcosa" possa farci perdere il riferimento sull'origine da cui si parte?
 
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Farvat
view post Posted on 21/5/2008, 11:45




Il rapporto tra scienza e filosofia è certamente molto intrecciato ed in effetti più ci si allontana nel passato più lo si scopre come indistinguibile, eppure la stesso termine "Scienza" ha nella contemporaneità un significato sottilmente diverso rispetto a quello di "Episteme" che alle origini e a partire da Platone significa stabilire la Verità cioè l'adeguazione tra prescrizione oggettiva e descrizione soggettiva. La definizione di Verità per Platone è "dire di ciò che, che è e di ciò che non è, che non è", ma nella scienza sperimentale questo rapporto di adeguazione si rompe, perché diventa sempre più evidente il gap tra descrizione e prescrizione che impone allo scienziato di parlare del mondo in termini di modelli teorici che valgono solo in quanto consentono di "salvare i fenomeni" ovvero consentono di spiegare e sopratutto di predire il loro comportamento.
La scoperta del mondo greco classico del metodo dimostrativo, derivato dalla matematica e dalla geometria ha avuto effetti rivoluzionari sul modo di filosofare ed ha fornito un modello di verità, a cui il pensiero umano ha fatto riferimento fino almeno al positivismo. Va però notato che il significato della parola "ipotesi" è cambiato rispetto a quello che assume oggi e questo sempre in relazione alla crescente consapevolezza che l'Episteme è in effetti scientificamente irraggiungibile. Albert Einstein molto lucidamente ha sostenuto:« Un'ipotesi è una frase la cui verità è momentaneamente presunta, il cui significato è oltre ogni dubbio. » ma questa definizione è puramente moderna e sottace quello che in verità nell'antichità il termine ipotesi significava ovvero "Principio". Il metodo dimostrativo necessitava per forza di cose di un principio da cui partire al fine di evitare un regresso all'infinito, quindi stabilito un postulato, cioè un principio evidentemente certo che non necessitava di dimostrazione veniva quindi possibile dimostrare una tesi. Il problema che sorgeva era come trovare queste ipotesi, che pure avendo come modello quello logico e matematico, non erano completamente applicabili al mondo sensibile, quindi divenne evidente che la fondazione doveva avere come contenuto la percezione, ovvero i fenomeni stessi. L'argomentazione era così forte che toglieva di mezzo persino gli attacchi dello scetticismo, che seppur invocava il regresso all'infinito delle ipotesi doveva per forza di cose ammettere che la percezione era innegabile. Qui in effetti si apre una problematica che ha lungamente attraversato tutto il pensiero umano cioè la considerazione o meno del valore della percezione, che vede nella filosofia greca il più forte negatore in Parmenide di Elea, che con il ragionamento logico dichiarava i fenomeni in quanto divenienti e molteplici pure illusioni, concezione che tra l'altro trova riscontro nella filosofia orientale. Tutta la filosofia dopo di lui dovette trovare il modo per sfuggire alla ferrea logica eleatica, tant'è che proprio Platone definì la sua ontologia come un parricidio nei confronti della concezione parmenidea che assieme a quella pitagorica lo ispirò così fortemente. Salvando i Fenomeni dal dubbio che la ragione poteva attestare, i fenomeni stessi acquisivano quell'oggettività necessaria alla loro indagine epistemologica, così le ipotesi dovevano rimandare direttamente ai fenomeni e la loro validità diveniva proporzionale a quanto erano in gardo di descriverli, predirli e quindi "salvarli". Questa fondazione oggettiva trovava terreno fertile in quanto, l'interpretazione greca era profondamente realista ed oggettivista, infatti come le ricerche più moderne affermano lo sviluppo scientifico e tecnologico fu nell'antichità notevole arrivando addirittura a teorizzare la macchina a vapore, tant'è che ci si chiede come mai non sia avvenuta una rivoluzione industriale anticipata.
Tralasciando questa questione che ci porterebbe troppo lontano rispetto al discorso, ci si deve domandare se il metodo dimostrativo ipoteticamente fondato sui fenomeni attestati in maniera certa dai sensi era valido, come mai il significato di ipotesi ha finito per degradarsi? La risposta è abbastanza semplice, il fatto è che si scoprì che due o più ipotesi anche molto diverse potevano finire per spiegare i fenomeni, senza che fosse possibile una chiara scelta tra quale di essi fosse la migliore. Ne consegue che il metodo ipotetico è fortemente influenzato dai paradigmi vigenti in una data epoca (il riferimento a Kuhn è d'obbligo) e lo sviluppo di date ipotesi o il loro riconoscimento in termini di validità non è a volte nemmeno riferito a quanto la nuova ipotesi risulti efficace in termini descrittivi, in quanto se essa va cozzare contro le concezioni in vigore viene respinta a priori, prima ancora di verificarne una possibile dimostrazione.
Da ciò che ho sostenuto può conseguire che in primis una filosofia della scienza è possibile e addirittura necessaria al fine di fluidificare o mettere sotto giudizio con la critica il processo scientifico ed le sue applicazioni tecniche che per via di una crescente ed inevitabile specializzazione hanno perso quella visione d'insieme di cui la filosofia è portatrice.
Dal metodo ipotetico dimostrativo, il passo a quello sperimentale è assai breve, tant'è che esso non fu affatto scoperto da Galilei come in genere si crede ma fu già sfruttato nell'antichità, in quanto risulta evidente che il rapporto tra ipotesi e fenomeno, cioè che salva quest'ultimo non è altro che l'esperimento. Quello che in realtà cambia in Galilelei sono le condizioni storiche e paradigmatiche in cui egli opera, cioè rispetto all'antichità il mondo non è più una totalità panteistica ed inviolabile, ma è il prodotto creativo di un Dio separato dalla propria creazione che permette di ritagliare l'ambiente e svolgerci sopra degli esperimenti senza pericolose conseguenze. Dal buttare giù dalla torre di Pisa un peso a fare esplodere una bomba a fissione nucleare, il passo è molto più breve di quanto sembra a prima vista.
Quello è che però caratterizza il metodo sperimentale è l'abbandono di quello ipotetico, cioè viene messa da parte il significato di ipotesi ed i problemi che tale concezione presenta per prendere una visione della realtà più fattuale, i fenomeni non sono più ciò che noi percepiamo ma assumano grazie alla loro descrizione matematizzata l'aspetto di veri e propri fatti. Non a caso Galilei parla di un mondo platonizzato in termini geometrici che diventano le qualità primarie, mentre i i fenomeni percettivi diventano qualità puramente secondarie. Con Galilei e in modo compiuto con Newton il sogno di Platone dell'episteme raggiunge il suo apice, cioè descrizione e prescrizione diventano una dicotomia che la dialettica scientifica nel suo progresso è in attesa di unificare. Non a caso il filosofo del positivismo, Compte, asserì che tutto lo scibile umano è in attesa di essere scientificizzato e quindi matematizzato. Il Greco " To mathemata" come Heidegger notava significa anticipare, cioè predire, controllare e quindi dominare, del resto l'unificazione tentata della scienza della descrizione linguistica con la prescrizione legislativa della natura conduce l'uomo al suo totale dominio.
Quello che però dopo gli entusiasmi frutto dei successi delle scienze positive, cominciano a perdere il loro smalto e di fronte alla crescente confronto con la complessità dell'universo che l'uomo occupa, il fatto che la matematizzazione delle scienze dello spirito diventa sempre più problematica, fa riaffiorare il significato originale del termine "ipotesi" e "fenomeno". La crisi delle scienze moderne, porterà Popper a riaffermare il metodo ipotetico deduttivo e la teoria come pura descrizione non verificabile ma puramente falsificabile, un ipotesi non è mai veramente vera ma vale finchè la sua capacità di "salvare il fenomeno" non viene meno e la sperimetnazione la falsifica. Popper, non è stato digerito da tutti, alcune crtitiche verso l'eccessiva rigidità del metodo falsificazionista possono essere considerate anche valide, ma chi più si è fortemente opposto sono coloro che si fanno portatori di una concezione fattuale della descrizione scientifica che seppur in crisi non vogliono rinunciare al sogno di dominio della natura che il metodo scientifico e la tecnica promettono strumentalmente.
Non credo di aver risposto alla domanda iniziale del post perchè la sua complessità rende difficile evaderla in spazi e tempi ragionevoli al contesto e sinceramente supera la mie forze conoscitive ed intellettuali, ma credo che l'ossatura che ho delineato possa rappresentarne un preambolo e possa arricchire la discussione.
 
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reiniku
view post Posted on 15/6/2008, 18:52




CITAZIONE (kattoliko @ 6/5/2008, 23:40)
Non credi che questo specializzarsi "di qualcosa" possa farci perdere il riferimento sull'origine da cui si parte?

Il potenziamento di un unico fattore procura un de-potenziamento di un altro fattore. Questo è abbastanza inoppugnabile. Il principio della specializzazione verte su questa elementare "fisica". Poi, tutta la complessità la mettono gli esseri umani naturalmente. Però non è certo un caso che l'organizzazione del lavoro moderna ricerchi la processualità elementare e funzionale degli organismi biologici.
La stessa cosa dicasi per la specializzazione sensoriale: lo sviluppo della scienza moderna ha portato anche all'accrescimento spropositato di una strumentalità volta all' implementazione sensoriale che ha fatto in modo che gli uomini cominciassero a sentirsi più padroni delle leggi dell'universo, ma nello stesso tempo, meno padroni del loro mondo.
Trovo particolarmente calzante questo passo tratto da The human condition (1958) di Hannah Arendt:

"Più l'uomo apprese intorno all'universo, meno comprese le intenzioni e gli scopi per i quali sarebbe stato creato. La bontà di Dio delle teodicee, quindi, è una specie di deus ex machina; l'inesplicabile bontà è l'unica cosa che in ultima analisi salva la realtà nella filosofia di Descartes (la coesistenza dell'intelletto e dell'estensione, della res cogitans e della res extensa) come salva l'armonia prestabilita tra l'uomo e il mondo in Leibniz."
 
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reiniku
view post Posted on 15/6/2008, 19:46




CITAZIONE (kattoliko @ 29/4/2008, 20:32)
Sbaglio, o molti filosofi del passato erano anche scienziati?
Leibnitz, ad esempio... se ricordo bene era sia filosofo che matematico.
Oggi c'è questa netta differenza, nel senso che non esistono più figure come quelle del passato?
Lo dico da perfetto ignorante in materia.
Se si, perchè secondo voi? E se no potreste farmi un esempio di un filosofo attualmente esistente con queste caratteristiche?
Poi, non ho capito bene cosa si intende tra "sistema filosofico" e "scoperta scientifica" e soprattutto come interagiscono tra loro.

Prima di Galilei, filosofia e scienza erano ancora unite. La scienza osservava, la filosofia contemplava, modalità che potevano benissimo andare d'amore e d'accordo.

Ad un certo punto si capisce che per "agguantare" veramente la conoscenza più che contemplare devi fare. Ed ecco la scienza sperimentale.

Se prima era più la filosofia che influenzava la scienza (lo stesso Galilei come sappiamo era stato influenzato da Cusano e da Giordano Bruno) dopo l'avvento della scienza sperimentale e delle nuove scoperte in ambito fisico e astronomico, fu la filosofia ad essere perpetuamente influenzata dalla scienza. E l'ontologia americana è solo uno degli effetti più radicali di questo vassallaggio di lunga data.

Le prime e più importanti sentinelle di questo mutamento di prospettive sono stati Cartesio e Pascal, non a caso entrambi grandi filosofi e grandi scienziati.

Entrambi avvertono la disperazione di un mondo divenuto incerto e senza punti di riferimento fissi.
Morto un papa se ne fa un altro, ma sarebbe meglio dire morto un mondo se ne fa un altro. Il pensiero per Cartesio. Dio per Pascal.

E' proprio il concetto di verità che è venuto a cambiare e non tanto il contenuto di questa verità.

La verità scientifica il cui ideale più eccelso è la verità matematica è una verità che può fare a meno degli uomini.

E la filosofia è la più umana tra le scienze...
 
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Lucafil32
view post Posted on 9/7/2008, 20:14




Direi che la domanda va fatta specificando di quale Paese stiamo parlando..... La filosofia di stampo anglosassone dà molta importanza alle scoperte derivanti dalla ricerca scientifica; nella filosofia continentale (di cui la filosofia italiana è il ramo più intristito) tale scambio di riflessioni e di informazioni non si dà. Il caso italiano è appunto emblematico: è appena uscito un bel volume di E.Bellone "La scienza negata, il caso italiano", che appunto dedica la sua ricerca a mostrare come nella filosofia italiana la scienza sia del tutto assente. C'è poco da fare: la colpa è delle assurde posizioni che la Chiesa Cattolica ha sempre assunto nei confronti della ricerca scientifica: ogni teoria ha incontrato la sua resistenza, dall'eliocentrisimo alla medicina, fino alle odierne biotecnologie. E i filosofi italiani sono costretti o ad arroccarsi in difesa difendendo la scienza a spada tratta (allontanando così in modo sempre più accentuato due campi che fin dall'antichità erano considerati perlomeno affini) oppure cercando compromessi di comodo, che non fanno altro che alimentare le polemiche. E' vero che ci sono anche casi di teologi prestati alla scienza, o di scienziati effettivamente credenti, ma sono mosche bianche, ibridi mostruosi tra lo scienziato riformato e il teologo dissidente (il caso Vito Mancuso parla chiaro).

In realtà il problema scienza/filosofia sembra porsi decisamente in ambito italiano, dove la differenza è più marcata, e dove le influenze reciproche non possono che essere inesistenti. Cosa se ne fa un ricercatore sulle cellule staminali di una ricerca sul "fondamento della morte di Dio"? E viceversa, un pastore dell'essere quale considerazioni potrà trarre dalle scoperte scientifiche?

La storia della filosofia e quella della scienza sono corse parallele per secoli: poi la Chiesa ha tagliato la mela.
 
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sitting bull
view post Posted on 23/2/2010, 20:44




CITAZIONE (DiodeiFilosofi @ 5/5/2008, 18:55)
Per sistema filosofico si intende una filosofia coerente,organica e connessa armonicamente divenendo appunto un "sistema" e non una "collezione di aforismi". La sistematicità è un esigenza del pensiero,ma anche un limite:

Una filosofia coerente e' anche quella di non avere una coerenza precostituita, ma fluida e adattabile.

Feyerabend e' forse il personaggio moderno che piu' ha interpretato questo annullamento della dicotomia filosofia-scienza, in quanto cio' che le unisce e' proprio il largo spazio lasciato all'intuizione, che e' sostanzialmente poesia, cioe' creatività, di cui e' infarcito sia lo scienziato che vuole dare struttura al mondo, sia il filosofo degno di tale nome, che sia altro da una eciclopedia ambulante di storia della filosofia.

Non c'e' linea di demarcazione in quanto ogni scienziato ha una sua struttura filosofica su cio' che ancora non e' codificato, e ogni filosofo si deve rifare alla scienza se vuole dire qualcosa di sensato, che non sia pura metafisica, di cui invece si occupa il teologo.

E tutto e' il filosofo, meno che un teologo.


 
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10 replies since 17/4/2008, 21:06   828 views
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